L’articolo 2645 ter c.c., gli effetti sul patrimonio del vincolo di destinazione

L’articolo 2645 ter c.c., gli effetti sul patrimonio del vincolo di destinazione

L’articolo 2645 ter c.c., gli effetti sul patrimonio del vincolo di destinazione

Cassazione civile. Sez. Terza n. 3697 del 13.02.2020.

L’articolo 2645-ter del codice civile rubricato “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche” dispone che “gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione.

Per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”.

In altri termini, il vincolo ex art. 2645 ter c.c. dà l’opportunità di isolare i beni, oggetto dell’atto di destinazione, dal patrimonio del soggetto, che ne è il titolare, in modo da destinarli al “perseguimento del fine”, per il quale l’atto di destinazione è stato istituito, sottraendoli, quindi, alle più svariate vicende che possono verificarsi.

La norma in questione rappresenta una rilevante eccezione all’articolo 2740 cc, per effetto della quale ciascun soggetto risponde delle proprie obbligazioni “con tutti i propri beni presenti e futuri”.

Infatti, secondo quanto prescrive testualmente l’articolo 2645-ter c.c., per effetto della trascrizione dell’atto istitutivo di un vincolo di destinazione, quest’ultimo diviene opponibile ai terzi e i beni “vincolati” e i loro frutti sono sottratti a qualsiasi azione esecutiva.

Ragion per cui, il vincolo, una volta trascritto, consente di aggredire il patrimonio del soggetto-debitore, secondo i principi generali, ma non i beni oggetto del vincolo, che restano così “isolati” dal patrimonio del debitore-aggredito.

Tale norma non pone limiti sulla natura del beneficiario, che, seppure ben individuato nella norma, in realtà, può essere sostanzialmente “chiunque”, così come i beni, che possono formarne l’oggetto, possono essere sia immobili che mobili registrati. Infine non ci sono indicazioni particolari neppure sui “vincoli di scopo”, poiché questi devono solo coincidere con la realizzazione di “interessi meritevoli di tutela”.

In sintesi, l’unico limite di applicazione del “vincolo di destinazione” sarà dunque l’interpretazione dell’interesse meritevole di tutela.

A tal riguardo si osserva che vi è un’univoca interpretazione sul requisito della “meritevolezza”, che è stato diversamente valutato in dottrina. Parte di essa, alquanto restrittiva, ritiene che il vincolo si giustifica solo se viene perseguito “un fine di utilità sociale”, a carattere superindividuale e socialmente utile.

Secondo tale tesi, se non viene perseguito un fine di pubblica utilità, l’atto è nullo e non può essere “salvato” dalla trascrizione, i cui effetti si producono solo se il titolo è valido.

Altra parte della dottrina, quella maggioritaria, ritiene che il requisito della meritevolezza è soddisfatto ogniqualvolta lo scopo perseguito sia “lecito”, ovvero non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

Tale parte della dottrina ritiene, pertanto, che “ la meritevolezza” verrebbe meno solo laddove sarebbero valicati i limiti della liceità, dell’ordine pubblico e del buon costume.

Altro rilevante problema è quello relativo alla tenuta del vinvolo di destinazione nel caso venga proposta un’azione revocatoria da parte del terzo creditore.

Con la sentenza n. 3697 del 13.02.2020, la Suprema Corte di Cassazione ha dato risposta a tale annoso quesito, soffermandosi sulla natura dell’atto di costituzione del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c..

Infatti, come è noto ai fini della revocabilità dell’atto è particolarmente rilevante la sussunzione dello stesso nell’ambito dell’onerosità o della gratuità.

Con tale sentenza la Corte di Cassazione ha precisato che nel caso dell’onerosità, per ottenere la revocabilità dell’atto costitutivo del vincolo è necessaria oltre alla conoscenza in capo al debitore del pregiudizio arrecato ai creditori, anche che tale conoscenza sia condivisa dal terzo acquirente; mentre nel caso della gratuità è sufficiente il consilium fraudis del debitore.

Alla luce di tale principio la Suprema Corte ha definito unilaterale e gratuito l’atto di costituzione del vincolo con cui una la nuda proprietaria assoggettava il suo immobile, unitamente ad altri di altri soggetti, alla soddisfazione di determinati bisogni dei suoi genitori e della figlia minore.

La Suprema Corte ha osservato come nel caso in esame anche se il vincolo era contenuto nel contesto di un atto pubblico più ampio ove ciascuno dei beneficiari aveva a sua volta destinato propri beni in favore delle esigenze di tutti gli altri, i diversi negozi di destinazione risultavano solo occasionalmente contenuti nel medesimo atto pubblico notarile con la conseguenza che non sussistendo una controprestazione in denaro l’atto doveva ritenersi a titolo gratuito ed unilaterale e perciò conseguentemente revocabile; salvo ha osservato la Corte che risulti diversamente, sulla base di una puntuale ricostruzione del contenuto effettivo della volontà delle parti e della causa concreta del complessivo negozio dalle stesse posto in essere.

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